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Uomini violenti non significa padri a cui farla “pagare”

AVVOCATO, DOCENTE, PSICOLOGO

Le questioni agitate sul Memorandum firmato da 130 esperti in materia familiare, sul tema dell’affidamento dei figli e da un mio articolo apparso su questo giornale si sono arricchite di due significativi contributi: il primo è quello della senatrice Valente, Presidente della Commissione a cui il Memorandum era rivolto per offrire un contributo all’indagine di come venga percepita la violenza nei tribunali civili e come venga utilizzato il costrutto dell’alienazione parentale. L’altro articolo è quello dell’avv. Maria Giovanna Ruo, Presidente dell’associazione Cammino, che si occupa di famiglie e minori.

Le questioni qui agitate sul Memorandum, firmato da 130 esperti in materia familiare, sullo spinoso tema dell’affidamento dei figli e da un mio articolo apparso su questo giornale si sono arricchite di due significativi contributi: il primo è quello della Senatrice Valente, Presidente della Commissione a cui il Memorandum era rivolto per offrire un contributo all’indagine di come venga percepita la violenza nei tribunali civili e come venga utilizzato il costrutto dell’alienazione parentale.

L’altro articolo è quello dell’avv. Maria Giovanna Ruo, Presidente dell’associazione Cammino, che si occupa dell’ambito della famiglia e dei minori.

L’avv. Ruo nella prima parte del suo articolo segnala la frequenza della violenza sulle donne nei rapporti interpersonali: purtroppo, i dati raccolti sino al maggio 2020, se rapportati all’anno precedente, mostrano una riduzione degli omicidi complessivi, ma un aumento in percentuale dei femminicidi ( da 32% a 48%) e delle vittime di sesso femminile di omicidi commessi in ambito familiare ( da 57% a 75%).

Occorre precisare però che le ricerche su coppie di donne omosessuali mostrano come si manifesti spesso violenza dell’una contro l’altra: nel 2017 delle 2144 segnalazioni di violenza domestica, 15 erano casi di omicidio in coppie LGBTQ. Quindi, una parte della violenza deve essere attribuita alla relazione e all’affettività che essa comporta.

Che uomini a corto di argomenti facciano valere le loro “ragioni” utilizzando la violenza è un comportamento deprecabile, determinato probabilmente anche dal fatto che dall’antropocene i maschi opprimevano le donne in ragione della maggior forza fisica. Preoccupati che esse potessero dar luce a figli non propri mentre tanto faticavano per procurare sostegno a sé stessi e alla compagna, usavano la violenza, segregandole, impedendo loro di avere contatti con altri uomini e manifestando sentimenti che oggi chiamiamo gelosia. Da allora la situazione si è molto evoluta, anche se attualmente milioni di donne ancora vengono infibulate o subiscono clitoridectomie, e non troppi anni fa ancora da noi si applicava la cintura di castità.

Il nostro cervello si è evoluto in milioni di anni e alcuni uomini usano la forza come scoria evoluzionistica: in sostanza, hanno il cervello e la mente, che ne è lo specchio esterno, ancora all’età delle caverne.

I sistemi creati per evitare il fenomeno ottengono qualche risultato, ma nei casi più gravi nessuno, fino a che non si accetterà l’idea che ho formulato tempo fa di una forma di Trattamento sanitario obbligatorio per uomini che appaiono nella loro condotta molto pericolosi nei confronti delle donne e talvolta anche di sé stessi, visto il tasso di suicidi a seguito di un femminicidio.

Ma questo non è l’oggetto del Memorandum, che non si occupa della violenza attuata, ma della violenza percepita dai tribunali, secondo gli intendimenti della Commissione Parlamentale, e dalle donne, secondo quanto affrontato nel Memorandum, al fine di evitare che anche comportamenti di contrasto possano essere soggettivamente intesi e valutati come se fossero violenze.

Al di là di tutte le Convenzioni e leggi che possiamo consultare, c’è una cosa che deve essere ben chiara a tutti: che le donne vadano tutelate non c’è dubbio, ma sono i figli che devono essere tutelati a tutto tondo e, se del caso, da entrambi i genitori.

La presidente Valente si preoccupa che se gli operatori confondono la violenza col conflitto di coppia, il piccolo possa essere collocato presso il genitore maltrattante o essere addirittura allontanato dal genitore che subisce violenza.

È vero però anche l’opposto, cioè che venga escluso il padre perché si suppone sia violento. Per esempio: un padre che protesta perché la madre ostacola da mesi il suo diritto e dovere di vedere ed accudire i figli, magari con continue giustificazioni quali «è ammalato, non vuole uscire, deve fare i compiti…» e lui rammaricandosene alza la voce, va davanti alla scuola in tempi che non gli appartengono per vedere suo figlio quando la moglie gli contesta che non è un giorno che «gli tocca», sta esercitando un suo diritto previsto dalla legge, mentre esso viene conculcato con continui e speciosi rinvii. La scenata è socialmente sgradevole, ma non mi pare possa essere considerata violenza, quale che sia il vissuto della madre.

Il rapporto GREVIO cui viene fatto riferimento contiene certamente considerazioni condivisibili.

Le associazioni di donne che l’hanno redatto sono però le stesse che, nel luglio 2020, hanno pubblicato il documento “Il cambiamento che vogliamo. Proposte femministe a 25 anni da Pechino” in cui chiedono che per gli operatori dell’ambito forense venga istituita una formazione permanente che garantisca un “approccio di genere” ed eviti formazioni “neutre”. Cosa s’intende?

Che tengano conto anche della violenza percepita? Non bisogna essere neutri in queste cose?

AVVOCATO, DOCENTE, PSICOLOGO

Giustamente, l’avv. Ruo chiede che vi siano delle riforme da costruire con «animo laico».

La Senatrice insiste sul tema dell’alienazione parentale in quanto costrutto non provato scientificamente e utilizzato per colpevolizzare le donne che si difendono dalla violenza dell’uomo e per questo gli escludono o limitano il contatto con i figli.

L’alienazione parentale non è stata negata dal Ministero della Sanità, interpellato sul tema proprio dalla Sen. Valente: anzi, il Ministero afferma che l’esclusione di un genitore dalla vita del figlio esiste non in quanto sindrome ma in quanto «disturbo della relazione tra più soggetti» e si configura come un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicoaffettivo del minore, rilevando la necessità di svolgere ulteriori ricerche scientifiche sul tema proprio al fine di evitarne utilizzi strumentali nelle controversie legali.

Quello che si intende nel Memorandum è che è sbagliato trincerarsi dietro una questione meramente scientifica, cioè se esista o non esista il costrutto: sul piano forense quello che dobbiamo domandarci è se esiste il fenomeno, e cioè se è vero o non è vero che esiste l’ostracismo di certe madri ( ma anche dei padri, solo che loro sono meno “assegnatari” dei figli) che ostacolano l’altro genitore impedendogli di accudire il proprio figlio. Sono due questioni diverse, come affermato anche dalla Suprema Corte di Cassazione che a tal proposito ribadisce che «non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS, ma è certo che i giudici di merito non hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte della figlia».

Nello specifico del caso affrontato dalla Corte, un padre lamentava di non aver mai visto garantito il proprio diritto a mantenere rapporti stabili con la figlia deducendo l’esistenza di una campagna di denigrazione posta in essere dalla madre nei suoi confronti.

La Corte ribadiva altresì la necessità di valutare l’esistenza di detto fenomeno «a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena» ( Cass. Civ., Sez. I, n. 6919 del 08.04.2016).

Da tempo, e lo abbiamo ribadito, avevamo precisato che nei casi di separazione e divorzio andava preferito come collocatario il coniuge che garantiva il criterio dell’accesso, e cioè colui che meglio provvedeva alle esigenze emotive e maturazionali del bambino e che rendeva più accessibile, sia in senso materiale sia in senso psicologico, l’altro genitore, tutelandone l’immagine ( Cigoli V., Gulotta G., Santi G., 1983; 1997; 2007).

Si giunge talvolta alla cancellazione del ruolo genitoriale che è costituito ai sensi di legge dall’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole: capita invece che al genitore non collocatario resti soltanto l’obbligo alimentare del mantenere, a scapito dell’istruire e dell’educare.

L’avvocata Ruo spiega molto bene come l’alienazione come fenomeno esista e non riguardi solo l’Italia, tanto è vero che su 350 sentenze CEDU in materia di famiglia, ben 40 riguardano casi di rifiuto o rigetto di un genitore: esse mostrano come, essendo per lo più le madri i genitori conviventi, siano proprio loro che statisticamente assecondano questo fenomeno poiché ne vedono rispecchiate al suo interno le proprie istanze esistenziali, ben lontane dal reale e primario interesse del figlio.

Per esempio, una recente sentenza della Corte di Strasburgo ( CEDU, Sez. I, Ricorso n. 48322/ 17 del 05.12.2019) ha accolto il ricorso di un padre che lamentava una violazione del suo diritto alla bigenitorialità in quanto non ha potuto stabilire, nei nove anni successivi alla separazione, alcun tipo di rapporto con la figlia a causa del comportamento della madre che «stava manipolando la minore al fine di aizzarla contro il ricorrente e di impedire qualsiasi contatto con lui» ( l’originale in francese afferma « elle ètait en train de manipuler la mineure afin de la dresser contre le requèrant et d’empecher tout contact avec lui » ).

La decisione della CEDU fa seguito ad altre in cui si premette che «per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare ( Kutzner c. Germania, n. 46544/ 99, CEDU 2002) e che delle misure interne che lo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’articolo 8 della Convenzione ( K e T c. Finlandia, n. 25702/ 94, CEDU 2001 VII».

E allora perché c’è questo mantra: “l’alienazione non esiste!”?

Perché la conseguenza logica sarebbe questa: se non esiste l’alienazione, non esiste neanche l’ostacolare, quindi le madri a cui vengono tolti i figli perché stanno ostacolando sono ingiustamente penalizzate.

Si tratta di un’implicazione spuria: se non esiste l’alienazione parentale, allora non esiste la condotta ostracistica delle madri. Se poi ci aggiungiamo che alcune madri vocianti organizzate chiedono addirittura l’abolizione della legge che prevede l’affidamento congiunto, non ci sarebbe neanche bisogno di negare l’esistenza dell’alienazione parentale perchè il padre non avrebbe alcun diritto.

È ben vero, come osserva la Senatrice, che secondo la Legge Codice Rosso, l’autorità giudiziaria deve inviare eventuali atti penali al giudice civile che stia valutando l’affidamento dei figli.

Ciò però non significa che venga meno il principio di non colpevolezza: giudici e periti si dovrebbero comportare tenendo conto di questo principio, anche perché la giurisprudenza ha precisato da tempo che «il giudice civile accerti autonomamente i fatti senza essere vincolato dalle soluzioni e qualificazioni adottate dal giudice penale» ( Cass. Civ., Sez. I, n. 9143 del 19.05.2020). La Commissione ha sentito professionisti, servitori dello Stato, docenti, plurime associazioni e individui singoli, per trovare un luogo di ascolto istituzionale per contrastare efficacemente la violenza contro le donne. Lo scopo del Memorandum è precisamente quello di offrire questo contributo. Nell’articolo qui pubblicato parlavo in nome di una epistemologia sociale, caratterizzata dallo studio della dimensione sociale, della conoscenza e delle credenze giustificate. Esistono associazioni come l’AIAF, l’AMI e il Cammino, che constano complessivamente di migliaia di professionisti, a cui a nostro giudizio andrebbero rivolte due semplici domande: «Nella vostra esperienza capita che il genitore collocatario, madre o padre che sia, ostacoli in modo surrettizio il diritto di visita dell’altro?» oppure «Nella vostra esperienza professionale è capitato che alcune denunce di violenza siano strumentali al fine di ottenere l’affidamento dei figli?».

Io non so quali potranno essere le risposte, ma mi sembrerebbe il modo corretto per procedere.

Come afferma Popper, è facile ottenere delle conferme o verifiche per qualsiasi teoria se quello che cerchiamo sono, appunto, delle conferme.

OSTRACISMO FAMILIARE

SUL PIANO FORENSE QUELLO CHE DOBBIAMO DOMANDARCI È SE ESISTE QUESTO FENOMENO, E CIOÈ SE È VERO O NON È VERO CHE ESISTE L’OSTRACISMO DI CERTE MAMME ( MA ANCHE DI ALCUNI PAPÀ, SOLO CHE LORO DAL PUNTO DI VISTA STATISTICO SONO MENO “ASSEGNATARI” DEI FIGLI) CHE OSTACOLANO L’ALTRO GENITORE, IMPEDENDOGLI DI FREQUENTARE E DI ACCUDIRE IL PROPRIO FIGLIO

VIOLENZA DOMESTICA

I DATI RACCOLTI AL MAGGIO 2020, MOSTRANO UN AUMENTO DEI FEMMINICIDI ( DA 32% A 48%) E DELLE VITTIME DI SESSO FEMMINILE IN AMBITO FAMILIARE ( DA 57% A 75%). PERÒ LE RICERCHE SU COPPIE DI DONNE OMOSESSUALI MOSTRANO COME SI MANIFESTI SPESSO VIOLENZA DELL’UNA CONTRO L’ALTRA: NEL 2017 DELLE 2144 SEGNALAZIONI DI VIOLENZA DOMESTICA, 15 ERANO CASI DI OMICIDIO IN COPPIE LGBTQ

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