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Udienze per fasce orarie, serve l’intesa giudici- Foro

Ogni anno giudiziario che comincia – quello della giustizia amministrativa il 30 gennaio, in Consiglio di Stato – è per giudici e avvocati un’occasione per ripensare a ciò che facciamo e a come vorremmo farlo.

Mi guardo indietro, e ripenso a quanti giudici ho conosciuto. Non pochi. Ed è sorprendente l’intensità del rapporto che qualche volta si crea nel giro di pochi minuti di discussione in udienza, cui seguono sentenze lette e rilette con attenzione e coinvolgimento ( è inevitabile, dopo che hai investito il tuo impegno di avvocato nella causa decisa). Hai modo di comprendere che anche il lavoro dei giudici è difficile. A parte il rispetto per la loro funzione, di quasi tutti quelli che ho conosciuto posso dire di avere stima ( proprio di tutti, no). Certo, è una stima consapevole anche degli aspetti problematici. Ma l’esperienza apre a un po’ di indulgenza. La mia, poi, è un’esperienza quasi tutta circoscritta ai giudici amministrativi. Il che limita il campo, ma forse consente una visione più mirata.

Secondo una nota formula “advocati nascuntur, iudices fiunt”: avvocati si nasce e giudici si diventa. Credo che per gli avvocati non sia vero. Forse una predisposizione naturale aiuta, ma non è detto. In ogni caso, non ci sono predestinati; e certo non basta esserci portati. È necessario essere costantemente aggiornati, in grado di operare con competenza e responsabilità oltreché passione. È vero invece che giudici lo si deve diventare. Il superamento di un concorso non basta. È necessario continuare a imparare, migliorare, crescere. Essere e restare equilibrati e imparziali, insensibili a suggestioni e condizionamenti. E saper gestire al meglio i rapporti con gli avvocati. Giudici e avvocati sono infatti “compartati” insieme nell’esercizio di una medesima funzione di giustizia. Chiaro che tale situazione risente dei più vari fattori, personali e ambientali. Chiaro che i reciproci rapporti possono essere idilliaci, ma anche no.

Come avvocato, vedi le situazioni più varie. Ci sono casi, ad esempio, in cui per un giudice il rapporto con la nostra categoria può essere un vero fastidio. Per carità, so quanto possiamo essere litigiosi, odiosi, chiassosi e difficili da sopportare. E quanto debordante sia il nostro numero rispetto a quello dei giudici. Capisco che un giudice possa pensare che lavorerebbe meglio senza dover ascoltare gli avvocati, senza neppure vederli, neanche a video. Un po’ come un professore universitario che desideri lavorare più serenamente senza avere a che fare con gli studenti. Ma non è possibile. Bisogna farsene una ragione. E sono inaccettabili forme patologiche di limitazione della funzione dell’avvocato, come pretendere – è successo davvero – che esponga i suoi argomenti nel giro di un minuto con l’orologio sul tavolo.

L’eterna tematica dei rapporti tra giudici e avvocati va ora inquadrata nelle innovazioni processuali introdotte nel giudizio amministrativo durante il periodo di emergenza covid. Tra queste, l’udienza da remoto è la novità di più ampia portata. Ma grande importanza ha in concreto anche una nuova prassi d’udienza: quella delle fasce orarie, che consiste nel chiamare le cause non tutte insieme all’inizio dell’udienza, ma ripartite secondo gli orari presumibili della loro trattazione. In tal modo si evitano sovraffollamenti inutili di avvocati e tutto si svolge in modo più ordinato.

L’idea è buona, e credo meriti di essere mantenuta stabilmente. Ma, come tutte le cose, deve essere realizzata bene. Le fasce orarie devono essere cioè strutturate secondo criteri razionali. Non è facile, ma è fondamentale: chiamare troppe cause a uno stesso orario determina ammassamenti di persone, sovrapposizioni, compressioni indebite dell’attività difensiva, svilimento del ruolo degli avvocati e disagi nello svolgimento della funzione giustiziale. Nella realtà, insomma, non funziona come nella prospettiva del Borromini – gioiello incastonato nella sede del Consiglio di Stato – che dilata magicamente le dimensioni e fa apparire grandissimo ciò che non lo è. Gli spazi angusti restano angusti, i corpi restano incomprimibili. E, soprattutto, il risultato non può essere quello di disincentivare la possibilità di discutere.

Inoltre bisogna considerare che dietro le fasce orarie c’è tutto un mondo di avvocati che si muovono, specie su direttrici romano- centriche ( il Consiglio di Stato è l’unico giudice d’appello, ma anche il Tar Lazio convoglia quasi un terzo di tutti i ricorsi in primo grado). Conoscere le fasce orarie solo il giorno prima dell’udienza non va bene. È vero che l’alta velocità ha fatto molto per unire l’Italia ( e nella giustizia amministrativa ha avuto un peso maggiore di tante riforme). Ma non ha senso che un avvocato venga a sapere solo il giorno prima se potrà partire per la sua udienza all’alba del giorno dopo o se invece deve partire subito per passare la notte in qualche albergo prossimo alla sede giudiziaria.

Sullo sfondo, un concetto di base: un tribunale non è solo la casa dei giudici. Ricordo bene: era a marzo del 2019, ringraziammo il presidente del Consiglio di Stato di allora, Filippo Patroni Griffi, per l’ospitalità data all’assemblea degli amministrativisti nella Sala dei Re. Ci disse che non servivano ringraziamenti: il Consiglio di Stato è anche la casa degli avvocati.

È un buon punto di partenza per affrontare il presente.

Se i tribunali sono la casa comune di giudici e avvocati, le regole di utilizzo vanno condivise. Ed è nell’ordine delle cose che le udienze che vi si tengono siano organizzate in modo concordato.

E poi vi è un altro profilo: se è la loro casa comune, giudici e avvocati condividono anche la responsabilità di difenderla di fronte a interventi che la possano danneggiare.

Si è visto nel 2014, quando un decreto legge – poi abbandonato – dispose la soppressione immediata di tutte le sezioni staccate dei Tar, senza alcun previo studio sugli effetti di una tale misura.

Viene ora annunciato l’intento del governo di voler accentrare nel Tar Lazio – con decreto legge – tutti i ricorsi relativi a qualsiasi procedimento ovunque svoltosi, ma connesso a un finanziamento Pnrr. Su tutto si può intervenire, ma non in modo estemporaneo. E non senza verificare gli effetti con chi assicura una funzione pubblica grazie a quelle strutture su cui si interviene.

* Consigliere Unaa - Unione nazionale degli avvocati amministrativisti

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