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Vietato considerare appalti gli incarichi agli avvocati: il codice azzera l’equivoco

STEFANO BIGOLARO

STEFANO BIGOLARO*

Il nuovo codice dei contratti pubblici afferma di essere in vigore dal 1° aprile. Ma basta la data per capire che scherzava. In realtà è dal 1° luglio che le sue disposizioni “acquistano efficacia” e che il vecchio codice è abrogato. Il 1° luglio segna anche il generale superamento delle linee guida Anac emesse in attuazione del vecchio codice, e il venir meno dello stesso potere di Anac di emanare linee guida.

Giungono così a fine corsa anche le linee guida 12/ 2018 dell’Autorità anticorruzione sull’affidamento degli incarichi legali: una serie di “autorevoli” indicazioni agli enti pubblici su come scegliere i propri avvocati e gestire i rapporti con loro. Non ci sarà da rimpiangere. Gli incarichi legali scontano molte incertezze; e – con le linee guida Anac – esce di scena un elemento che all’incertezza ha contribuito. Ma andiamo con ordine.

1. La difesa in giudizio e la consulenza legale in vista di un giudizio non rientrano tra i contratti pubblici ( per dirla genericamente, tra gli appalti). Lo dicono le direttive comunitarie, lo ripete il codice dei contratti pubblici del 2016, lo conferma anche il nuovo codice. Le attività legali sono appalti solo quando costituiscono un complesso strutturato e stabile di prestazioni. Ma, al di fuori di questa ipotesi ( non frequente), gli incarichi legali sono esclusi dagli appalti e dal relativo codice.

Forse ci si poteva fermare qui. Però nel recepimento delle norme europee abbiamo spesso aggiunto qualcosa di non necessario ( in gergo, si parla di “gold plating”). Così il codice del 2016, oggi abrogato, stabiliva che i contratti esclusi fossero comunque sottoposti a qualche principio ( in particolare, a quelli di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica). È in questo modo che abbiamo inventato la sofisticata distinzione tra contratti esclusi dal codice ( ma comunque sottoposti a qualche suo principio) e contratti estranei al codice. Gli incarichi legali erano appunto esclusi ma non estranei.

2. L’Anac – dotata dal codice del 2016 di un vasto potere normativo – già aveva in animo di occuparsi degli incarichi legali. Era partita col piede sbagliato, considerando appalto ogni incarico a un avvocato. Ma, avvertita dell’errore, non ha rinunciato a porre le proprie regole ( appunto, con le linee guida 12/ 2018): va bene, non sono appalti, ma gli incarichi legali devono comunque rispettare i principi che valgono per i contratti esclusi. Così, “declinando” quei principi, l’Anac ha costruito una disciplina appaltistica per gli incarichi legali. Ha assunto come regola la comparazione tra legali ( non è chiaro in base a quali criteri), e considerato l’affidamento diretto un’eccezione. E ha esortato gli enti a tenere elenchi degli avvocati tra cui scegliere chi incaricare: ogni ente un proprio elenco, aperto e costantemente aggiornato, con un onere che grava sia su chi lo tiene sia su chi vi si iscrive ( costretto ad adempimenti e impegni certi a fronte di incarichi solo virtualmente affidabili).

3. Ora però, con il nuovo codice dei contratti pubblici, l’impostazione cambia. Gli incarichi legali restano esclusi dagli appalti ( non può essere diversamente: l’esclusione sta nelle direttive). Ma i contratti esclusi non sono più assoggettati a principi appaltistici ( il che, come detto, era solo una forma di “gold plating”).

La formulazione legislativa non è forse il massimo ( il riferimento è all’articolo 13, commi 2 e 5 del codice): ma che questo sia il significato da attribuire alla norma è attestato dalla relazione illustrativa ( che proviene dalla stessa penna che ha redatto il nuovo codice). Insomma, una diversa interpretazione non sembra possibile: il nuovo codice non ha voluto “allargarsi” ai contratti esclusi.

Bene così: i singoli incarichi agli avvocati sono ora estranei agli appalti, punto e basta. È una scelta legislativa più coerente con la giurisprudenza comunitaria, che ritiene gli incarichi legali “non comparabili” con gli altri contratti pubblici. E forse servirà a limitare le incertezze e le derive appaltistiche della situazione attuale, in cui ogni avvocato che aspiri a un pur minimo incarico pubblico deve misurarsi con Durc, Cig, dichiarazioni indebitamente richiestegli e sempre diverse da un ente all’altro.

Dunque, nulla di quelle linee guida vale più. Non solo si conclude ora la stagione delle linee guida. Non solo non ci sono più i principi posti dal vecchio codice. Più radicalmente: i contratti esclusi ( tra cui gli incarichi legali) non sono più assoggettati a principi codicistici.

4. Naturalmente, questo non vuol dire che per gli incarichi legali non ci sono più regole. Un’amministrazione deve comportarsi comunque da amministrazione. Deve rispettare i principi generali dell'azione amministrativa, assumere scelte verificabili sotto il profilo della congruità.

Andrà ad esempio acquisito il curriculum del professionista per verificarne l'adeguatezza all’incarico; verificato che non ci siano incompatibilità; acquisito il preventivo e verificata la rispondenza ai parametri e all’equo compenso.

Ma gli appalti non c’entrano più.

5. Nulla come prima, dunque, e un protagonista in meno: l’Anac.

Già prima era discutibile che disciplinasse gli incarichi agli avvocati: se sono esclusi dal codice contratti, perché l’Anac poteva esercitare su di essi i poteri normativi che le attribuiva il codice? Ma ora, con il nuovo codice, semplicemente quei poteri normativi non ci sono più.

Il rischio è naturalmente quello della resistenza della prassi. Il timore che blocca le cose nello stato in cui sono. La possibilità che le linee guida Anac sugli incarichi legali continuino a essere sentite come un breviario per non incorrere in responsabilità. Per questo la chiarezza dell’inquadramento normativo è un valore sia per le amministrazioni che per gli avvocati.

* Consigliere Unione nazionale avvocati amministrativisti

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