Ridurre il peso delle correnti: ecco la modifica sulla giustizia amministrativa
Gentile Direttore, il Suo giornale, che segue sempre con attenzione le questioni della giustizia amministrativa, riporta le considerazioni di alcuni magistrati amministrativi e delle relative associazioni.
FILIPPO PATRONI GRIFFI
FILIPPO PATRONI GRIFFI
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO
Gentile Direttore, il Suo giornale, che segue sempre con attenzione le questioni della giustizia amministrativa, riporta le considerazioni di alcuni magistrati amministrativi e delle relative associazioni in relazione all’emendamento ( AS 2227) in discussione al Senato sulla composizione dell’organo di autogoverno della giustizia amministrativa ( il Cpga). Attualmente il Consiglio di Presidenza è composto da 10 magistrati eletti ( 6 dai Tar e 4 dal Consiglio di Stato), da 4 laici eletti dal Parlamento e da un membro di diritto, il Presidente del Consiglio di Stato.
Questa composizione, attualmente, viene integrata ( limitatamente alle questioni sul processo telematico) da 2 “membri di diritto”: il Presidente aggiunto del Consiglio di Stato e il più anziano tra i Presidenti di Tar. L’emendamento mira a rendere stabile e generale la partecipazione di questi 2 membri di diritto, uno appartenente al Consiglio di Stato e uno ai Tar, nel Cpga.
Conosco e comprendo logiche e metodi sindacali, ma tono e contenuti di certe affermazioni mi impongono di intervenire — quale Presidente del Cpga e quindi nell’esercizio dei miei doveri di garante della magistratura amministrativa come istituzione e non di parte di essa ( quand’anche questa parte fosse costituita dalla totalità dei suoi appartenenti) — per spiegare il senso di questa proposta che è all’esame del Parlamento. Lo faccio per il grande rispetto che nutro nell’opinione pubblica, che ha il diritto di essere informata del dibattito interno e intorno alla magistratura, nei confronti dei Colleghi, nella cui autonoma valutazione confido, e soprattutto del Parlamento, come sempre sovrano nel prendere decisioni, anche a fronte di pur consuete pressioni delle categorie, da cui non è esente la magistratura. L’emendamento mira semplicemente ad assicurare nell’organo di autogoverno la presenza stabile di 2 “membri di diritto', oltre al Presidente: uno di provenienza dal CdS e uno dai Tar. Non si altera dunque alcun equilibrio tra le due componenti, ne vi è alcun rischio per l’autonomia e l’indipendenza dell’Organo.
Così come non corretto, e mortificante per chi lo dice, è assumere che si tratti di norme ad personam: scegliere un componente di un organo in virtù di una carica ricoperta è cosa ben diversa da proporre una norma ad personam. La pretestuosità dell’argomento è troppo evidente, specie se proviene da chi dovrebbe essere custode del diritto ( e dei diritti). L’effetto di tale emendamento sarebbe quello di attenuare soltanto l’influenza, oggi assoluta, della componente togata elettiva nel suo complesso ( componente peraltro, quanto meno nella quota Cds, alquanto variegata, come è giusto che sia). Infatti il rapporto di 10 eletti a fronte di 4 laici e un membro di diritto verrebbe modificato con l’ingresso di altri 2 membri non eletti. Ed è questa la sostanza della questione: il principio di “rappresentatività democratica”, per la verità costituzionalmente intangibile negli organismi espressione di sovranità, in primis nel Parlamento, viene invocato per lamentare una lesione della forte rappresentanza elettiva dei magistrati, in una logica in cui rappresentanza e mandato imperativo, che la Costituzione esclude pure per gli eletti dal popolo, tendono talvolta a confondersi nell’attività del Cpga, spesso più attento a valutare le ricadute delle proprie decisioni sul consenso dei rappresentati che sul corretto funzionamento del servizio giustizia ( laddove la credibilità di una magistratura si fonda sulla sua capacità di risposta alla domanda di giustizia dei cittadini e sulla competenza). È quindi prevedibile, non credo per questo condivisibile, che la logica associativa tenda a riportare il più possibile l’azione e l’influenza sindacali nell’attività dell’organo di autogoverno. Ma non è questo il senso, anche costituzionale, del governo autonomo delle magistrature. I tre membri di diritto - che anche nelle altre magistrature sono tenuti fuori dalle quote di appartenenza - al pari dei membri laici non parteggiano per alcuna delle varie parti, non sono alla ricerca del consenso a tutti i costi. Io stesso sono stato oggetto di critiche, non sempre eleganti, ora da una parte ora dall’altra, anche in occasione di recenti delibere ben viste dalla componente ora critica; il che non mi conferma nell’aver fatto bene, ma sicuramente nell’essere stato equidistante come Presidente dell’organo di autogoverno. Dal che si desume anche la pretestuosità dell’insinuazione che la proposta sposerebbe i desiderata di una delle associazioni, peraltro spesso critica nei confronti del vertice: questa proposta non è nuova, ma era già stata portata all’attenzione del Parlamento anni fa.
Sono e sarò sempre il Presidente di tutti. Continuerò a comportarmi, nell’esercizio della funzione, come ho sempre fatto e come farebbe qualsiasi presidente dell’Istituto, indipendentemente dall’esito della proposta in discussione. Certamente non interverrò oltre nel dibattito, quanto meno per il rispetto dovuto ai membri del Parlamento nonché alla mia carica a fronte di certe affermazioni. Spero solo, oltre che aver chiarito all’opinione pubblica i termini della questione, di aver fornito ai Colleghi alcuni elementi di riflessione, e soprattutto ai signori Senatori elementi che possano essere di ausilio nella loro decisione, questa sì, sovrana.
La ringrazio, Direttore, per l’ospitalità.